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LE TRE RAGIONI DEL TRIANGOLO
(in Casabella n°618, dicembre 1994)
Grazie a questi dodici anni di lavoro il progetto si è
fatto evidente, mentre all'inizio era solo intuitivo; Il tempo mi ha permesso
di sapere con esattezza ciò che stavo facendo. Io dico sempre che se non si
hanno tre ragioni per fare una cose, è meglio non farla. E per fare quel
triangolo avevo tre ragioni.
La prima era connessa
al'itinerario, perché il programma parlava di giro lungo e di giro breve. Ora,
fra tutte le figure, il triangolo è quella che cosente l'itinerario più breve,
e quello lungo si puo ricavare nello spessore di uno dei bracci.
La seconda raggioni è il sito: un
triangolo delimitato dal fiume, dalla chiusa e dal circo romano.
La terza ragione è programmatica.
Il programma era in tre parti; un'ala culturale (conservazione, corsi per le guide,
auditorium); una scientifica (corsi di scavo, mostre temporanee), che è la
parte "laboratorio" del museo; e il museo propriamente detto.
Questo era già un incitamento a dare a ognuna una luce,
uno spazio, un colore particolari. Ogni parete è rappresentativa del proprio
programma.
La parete culturale è l'unica che
lasci leggere gli elementi interni; è un edificio che si rispecchia nella città
vecchia.
Quella scientifica è un
brise-soleil, non autorizza alcuna lettura.
La parete del museo crea il
rapporto con l'esterno.
Il triangolo è l'ideale per imparare a chiudere ciò che è
aperto e ad aprire ciò che è chiuso.
Tre sono le condizioni imposte dalla tipologia del museo:
l'ingresso, il percorso, la luce.
L'ingresso è il palazzo, oppure la rovina. E l'ingresso
strutturato in origine per la gloria di uno solo, che diventa l'ingresso di
tutti. L'esempio più significativo è il Louvre. Ingresso vuol dire simultaneità
dell'informazione, è uno spazio simultaneo; ad esempio, quello che era un tempo
l'ingresso del MoMa di New York. L'analisi di Wright e di Corbu fa capire che
il museo è un parcorso in cui si entra e si esce nello stesso punto.
Nel caso del triangolo, uno dei problemi principali era
l'impossibilità di collocare l'ingresso al centro delle parete. Più il lavoro
andava avanti, e più era chiaro che l'unica soluzione che consentisse un
ingresso d'angolo era quella della rampa. La scalinata al centro della rampa
vuol essere un ricordo dell'ingresso centrale.
La "promenade" architettonica si faceva evidente:
giunti sul tetto, si puo vedere il sito di cui si è appena visto il modello; la
rampa è diventata un belvedere. Nessuna modifica al programma ha mai posto in
discussione la rampa.
Percorso. All'interno, esso è frutto degli schemi di
circolazione urbani degli anni Cinquanta con angoli di 60°: io sono figlio
degli anni Cinquanta. Col tempo, però, mi sono reso conto che il lavoro era
ortogonale, perché ogni ala veniva letta ortogonalmente nel suo spessore
interno. Non si ha l'impressione di trovarsi in un triangolo, ma il triangolo
rimane presente nella memoria del percorso.
L'ultima condizione tipologica è la luce. Qui abbiamo un
sistema di illuminazione dal tetto, come una quarta facciata. Dove si trova
l'illuminazione più omogenea che sia mai stata inventata? Nelle fabbriche, con
gli sheds. La magia del luogo nasce dagli sheds. I pilastri diventano tronchi
d'albero, le ondulazioni del soffitto sono nuvole. In questo spazio si ha la
sensazione di trovarsi agli albori dell'architettura: non la capanna, ma la
radura. Il soffitto di Corbu a Chandigarh è una notte stellata: io qui mi sono
richiamato semmai ai soffitti delle chieze barocche di Viena, con le loro
immagini di cieli al tramonto.
Il referente dell'architettura è la natura.
Oggetto dell'architettura è la spazialità interna. Ed è
un'invenzione cui si giunge soltanto quando all'interno si riesce a
rappresentare, fisicamente o in modo da suscitare un'emozione, una spazialità
esterna.
Lo spazio
indicibile, è riuscire a realizzare un esterno naturale in un interno
architettonico.
Il colore non è soltanto un'astrazione. Inizialmente, le
tre ali del triangolo erano autonome. Ma per che le tre pareti rappresentassero
l'inzieme era necessario che si toccassero. Poi è nata l'idea del rivestimento
blu, che è un tema pittorico. Esso rinvia alla permanenza del cielo, l'unica
permanenza dell'epoca romana a oggi, dato che la terra viene continuamente
modificata. Il vetro trasmette l'iidea di un nuovo tipo di marmo, mentre al
inizio stava semplicemente a significare "questo non è un oggetto organico."
E c'è anche l'idea dell'indossare il vestito bello, un vestito di Paco Rabanne
per sottolineare la parte perenne dell'edificio. Il vetro blu esprime l'idea
che al di là vi sia una permanenza, che si intravvede nei tratti scoperti, ove
traspare il cemento. Il vetro trasparente, invece, sta a indicare il vuoto.
Il muro rosso, all'interno, lungo la galleria dei
sarcofagi, c'è stato fin dall'inizio. Quella parete doveva essere rossa
affinché i sarcofagi non dessero l'idea della morte. Per dare un senso di
calore. Ma per chi guardasse dal punto più largo, il muro poteva apparire come
uno sfondo: e questo sarebbe stato un disastro. Allora ho fatto funzionare il
muro rosso e le colonne come una sorta di stoà greca, affacciata su un
paesaggio interno.
Per Arles, ho sempre avuto la pretesa di fare qualcosa di
romano, ma di un romano del giorno d'oggi. Cerco di stare da quella parte: la
romanità mi piace, è la civiltà
(Pensieri raccolti
da Laurent Beaudouin)
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