Il Museo archeologico di Arles
(pagine 4-17)
Henri Ciriani a risposto alle condizioni del sitio –una penisola tra due bracci d’acqua, su cui si trova un circo romano che un’autostrada separa dalla città vecchia—scegliendo per il museo archeologico di Arles una figura difficile como quella del triangolo. Tale scelta risolve brillantemente le esigenze del programma, che richiedeva un’ala culturale e un’ala scientifica oltre al museo vero e proprio. Ciriani articola e “apre” questa figura di base rielaborando temi progettuali già indagati in opere precedenti : lo « scavo » degli angoli, lo sviluppo circolare del percorso espositivo a cui si agganciano altri percorsi, il tema della facciata como parete indipendente, l’uso del colore, la modulazione attenta della luce.
(Casabella)
Henri Ciriani has responded to the conditions of the site –a peninsula between two branches of a river, hosting a Roman circus, separated from the historical city by a motorway—selecting, for the archaeological museum of Arles, a difficult figure, the triangle. This choice brilliantly responds to the requirements of the programme, which called for a cultural wing and a scientific wing as well as the actual museum. Ciriani articulates and “opens” this basic figure, reworking design themes already present in his earlier works: the “excavation” of the corners, the circular development of the exhibition path, to which the other paths are attached, the theme of the facade as an independent wall, the use of colour, the careful modulation of light.(See the English digests of the article down below)
Durante una visita al suo studio, Ciriani mi aveva mostrato un piccolissimo modello in cartone, un oggetto fragile, un triangolo che stava nel cavo della mano: eppure, quel modellino conteneva già ogni più essenziale caratteristica del progetto del Museo archeologico di Arles, era, per così dire, una cristallizzazione del suo pensiero. Nello studio non ce n’erano altri: non uno dei numerosi plastici che per molti progettisti, da Gehry a Foster, ad esempio, definiscono un’ampia gamma di variazioni sul tema del progetto, e suggeriscono che il lavoro dell’architetto consista nello scegliere una soluzione tra le tante possibili. Quell’unico modello era la dimostrazione del fatto che in Ciriani il pensiero precede interamente il progetto: che le singole scelte rispondono a una precisa logica interna, e che il risultato finale altro non è se non lo stato di avanzamento raggiunto dalla logica stessa, quasi non vi fossero altre possibili soluzioni.
Il concorso per il museo di Arles è stato bandito nel 1983, ma l’opera approda solo ora alla fase conclusiva. Tempi tanto lunghi sono del tutto insoliti in Francia, ove si tende a fare ogni cosa troppo in fretta. D’altronde, a prima vista, l’edificio non mostra alcun cambiamento rispetto al progetto di concorso (vedi “Casabella” 523, aprile 1986). Ma il senso di compiutessa che se ne ritrae visitandolo lascia intuire un lungo lavoro, una costante opera di approfondimento.
Nel corso di questi anni, pur continuando a dedicarsi in parallelo al problema dell’abitazione, Ciriani ha infatti condotto a termine altri due grandi lavori: la Maison de la Petite Enfance di Torcy, (Casabella” 568, maggio 1990) nella banlieue parigina e il monumento commemorativo di Péronne (“Casabella” 596, dicembre 1992). Opere, entrambe, in cui egli esplora nuove vie: a Péronne, quella del movimento continuo, con il fluido snodarsi della luce e dello spazio, come un nastro di Möbius, attorno a un quadrato centrale; a Torcy, quella di una dialettica del pieno et del vuoto, che ha nella policromia il proprio elemento di scansione. Nel progetto del museo di Arles, Ciriani affronta invece una ricerca sul rapporto geometria-spazio, ma abbandonando il tema ormai noto del quadrato per misurarsi con quello inesplorato del triangolo.
Qui, il nucleo centrale del progetto non è più il quadrato d’ombra di Péronne, ma un triangolo aperto, che assorbe la luce forte del cielo, quella luce che Ciriani considera l’”unica vera permanenza” del sitio. Questo patio triangolare è l’asse verticale che consente il movimento delle ali dell’intera figura. Le tre ali si prolungano, per dare una direzione alla spirale: l’insieme della figura si legge a partire dagli angoli. Quella del triangolo è una figura estranea al vocabulario romano: ma la sua forza geometrica e la sua giustapposizione alla forma semplice del circo autorizzano in questo caso il collegamento con una tradizione che nella geometria e nella scala aveca due regole sufficienti per creare un monumento, quali ne fossero le dimensioni. E la ricerca di Ciriani ha appunto per oggetto la possibilità di rivendicare un’appartenenza alla tradizione monumentale romana, senza tuttavia riprodurne le forme né utilizzare i materiali che le soni propri. Ed ecco la geometria del triangolo sostituirsi a quella del quadrato o del cerchio, la forza strutturale del cemento a quella del mattone, l’astrazione del vetro smaltato alla purezza del marmo.
Ma la geometria moderna di Ciriani non si esaurisce negli spostamenti visuali suggeriti dai dispositivi di angolazione greci o ramani. Il movimento delle masse rispetto allo sguardo del visitatore non é,paradossalmente, prodotto dal solo spostamento di quest’ultimo, non nasce dalla “promenade” architettonica. Sono gli elementi stessi a entrare in un complesso movimento di risonanze: ed é questo movimento virtuale a scrivere la partitua che il progettista vuol fare decifrare dal visitatore. Il metodo di lavoro di Ciriani ne è altronde un riflesso. Egli privilegia certi punti di vista come fossero i luoghi principali dell’edificio (i “punti progettuali”), e ne esplora in molteplici variazioni grafiche le qualità spaziali finoa raggiungere un’assoluta concordanza tra il pensiero e lo spazio. In questa musica visuale, anche il colore trova il suo più autentico ruolo. Se inizialmente mi era sembrato rispondere a una mera volontà di astrazione, dopo l’esperienza di Torcy esso va invece configurandosi quale matrice di quello che Ciriani definisce “lo spazio pittorico”. é un colore che non ha più unicamente la funzione di scandire o sfumare, di creare uno sfondo rispetto alle forme, ma che si fa autonomo per divenire esso stesso spazio.
Dopo dodici anni di attesa, pietre e mosaici sono finalmente prossimi ad approdare stabilmente in quella radura architettonica, in quegli spazio naturale interno cercato e voluto dal progettista.
(Laurent Beaudouin)
During a visit to his studio Ciriani showed me a very small cardboard model, a fragile object, a triangle which fit into the palm of the hand: and yet that little model already contained all the most essential characteristics of the design of the Arles Museum of Archaeology; it was, so to speak, a crystallisation of his thought. In the studio there were no other models: not one of those ubiquitous plastic models which for many designers, such as Gehry or Foster, for example, define a wide range of variations on the theme of the design, suggesting that the work of the architect consist of selecting one solution from among many possibilities. This sole model was the demonstration of the fact that for Ciriani the thinking entirely precedes the design: that the single choices respond to a precise internal logic, and that the final result is no more and no less than the state of advancement achieved by logic itself, almost as if there were no other possible solutions.(...)
In a design for the museum in Arles, on the other hand, Ciriani confronts research on the relationship between geometry and space, abandoning the familiar theme of the square to explore the possibilities of the triangle. Here the central nucleus of the design is no longer the shadowed square of Péronne, but rather an open triangle which absorbs the bright light of the sky, that light which Ciriani considers “the only truly permanent feature” of the site. This triangular patio is the vertical axis which permits the movement of the wings of the entire figure. The three wings extend out to give a direction to the spiral: the overall figure can be perceived beginning with the corners. The triangle is a figure which is extraneous to the Roman vocabulary: but its geometric force, and its juxtaposition to the simple form of the circus, authorise, in this case, the connection with a tradition in which geometry and scale were the two rules sufficient for the creation of a monument of any size. In fact the aim of Ciriani’s research is the possibility of claiming to somehow belong to the Roman monumental tradition without reproducing its forms nor utilising its characteristic materials. Thus the geometry of the triangle takes the place of that of the square or that of the circle, the structural force of concrete takes the place of brick, the abstraction of enamelled glass replaces the purity of marble.
But the modern geometry of Ciriani cannot be summed up as the mere visual shiftings suggested by the angulation devices of the Greeks and Romans. The movement of the columes with respect to the eye of the visitor is not, paradoxically, achieved only by means of the repositioning of the spectator, is not the result of an architectural “promenade”. The elements of the composition themselves enter into a complex movement of resonances: it is this virtual movement which writes the score which the designer intends the visitor to decipher. After all, Ciriani’s working method is one of reflection. He favours certain points of view as if they were the principal places of the edifice (the “design points”), exploring their spatial qualities in multiple graphic variations until he achieves an absolute identity between thought and space.
In this visual music, colour also plays a very important role. Whereas initially it seemed to respond to a mere will to abstraction, after the experience of Torcy it appears, instead, to have become the matrix of that which Ciriani defines as the “’pictorial space”. It is a colour xhich no longer has the sole function of marking or blending, or of creating a background for the forms; here colour becomes an autonomous element, itself becoming space. (...)
Lors d’une de mes visites dans son atelier, Henri Ciriani me montra une petite maquette en carton découpé, un objet fragile pris entre deux doigts, un triangle qui tenait dans le creux de la main. Tout ce qui est essentiel au projet pouvait être dit à partir d’elle.
Elle était comme la cristallisation de sa pensée.
Il n’y avait pas dans l’atelier de Ciriani, comme chez Franck Ghery ou Norman Foster, de multiples maquettes présentant différentes variations, laissant penser que le travail de l’architecte consiste à choisir une solution parmi d’autres. Cette unique maquette montrait que la pensée, chez lui, précède complètement le projet. Les choix sont faits à l’intérieur d’une logique interne et le résultat est l’état d’avancement de cette logique, comme s’il n’y avait pas d’autre solutions possibles.
Issu d’un concours lancé en 1983, le Musée d’Arles est seulement en cours d’achèvement. Cette très longue période est inhabituelle en France, où tout se fait trop vite. En apparence, rien n’a changé depuis ce concours, mais le sentiment de plénitude que l’on a en visitant le bâtiment suggère l’importance de l’approfondissement du projet.
Au cours de cette période, tout en continuant parallèlement un travail sur la question du logement, Ciriani a réalisé deux autres projets majeurs : La Maison de la Petite Enfance à Torcy et le Mémorial de Péronne.
Ces deux projets tracent des voies différentes :
- Péronne est un travail sur le mouvement continu où la lumière et l’espace s’enroulent l’un sur l’autre comme une bande de Moebius, autour d’un carré central.
- Torcy est l’expression d’une dialectique du plein et du creux, utilisant la polychromie comme ponctuation.
Avec l’étude du Musée d’Arles, Ciriani s’est lancé dans une recherche sur le rapport entre la géométrie et l’espace, où, connaissant les règles du carré, il va affronter le thème inexploré et inconnu du triangle. La longueur du délai a permis à Arles de profiter de l’expérience développée dans les deux autres projets. Ici, le coeur de l’édifice n’est pas le carré sombre de Péronne, mais un triangle ouvert, absorbant la lumière forte du ciel, celle que Ciriani qualifie de “seule vraie permanence” du site.
Le patio triangulaire est l’axe vertical qui permet le mouvement des ailes de la figure générale. Les trois ailes sont en extension pour donner un sens à la spirale. Elles donnent à lire, depuis les angles, l’ensemble de la figure. Dans sa perception extérieure, le triangle n’est pas visuellement un faux carré.
Cette figure du triangle est étrangère au vocabulaire antique. Pourtant sa force et sa juxtaposition, à la forme simple du cirque romain, rapproche le bâtiment de cette tradition où la géométrie et l’échelle formaient deux règles suffisantes pour créer un monument, quelqu’en soit la taille. Etre dans la tradition romaine monumentale sans reproduire les formes, ni utiliser les matériaux de cette tradition, telle est la question explorée par Ciriani. Ici, la géométrie du triangle remplace celle du carré ou du cercle, la force structurelle du béton remplace celle de la brique, l’abstraction du verre émaillé remplace la pureté du marbre. Dans ce travail d’équivalence, la modernité n’est pas en état de rupture avec ses fondements. Elle reconstruit les raisons d’être de chaque matériau utilisé.
La géométrie moderne de Ciriani produit cependant d’autres types de déplacements visuels que ceux que l’on trouve dans les dispositifs d’angulation grecs ou romains. Le mouvement des masses par rapport au regard ne se produit pas, paradoxalement, par le seul déplacement du visiteur, par la seule promenade architecturale. Ce sont les éléments eux-mêmes qui entrent dans un mouvement complexe de résonance et qui tracent la partition que Ciriani veut faire suivre du bout des yeux au visiteur.
Sa méthode de travail en est le reflet : privilégiant certains points de vue comme étant les lieux majeurs de l’édifice, ces points de vue qu’il appelle “points projectuels”, il va en explorer, dans de multiples variations graphiques, les qualités spatiales jusqu’à obtenir une concordance entre la pensée et l’espace.
La couleur prend alors pleinement sa place dans cette musique visuelle. Elle ne me semblait, au départ, qu’une volonté d’abstraction, mais Ciriani va s’engager après le travail de Torcy dans la voie de ce qu’il nomme “l’espace pictural”. La couleur n’est plus utilisée seulement pour ponctuer ou nuancer, pour former un fond par rapport aux formes, elle va s’autonomiser pour devenir elle-même espace.
Après ces douze années d’attente, les pierres et les mosaïques vont enfin trouver leur place. Elles vont enfin se reposer dans cette clairière architecturale, dans ces halos de lumière colorée et contempler tranquillement l’espace comme une nouvelle nature intérieure.
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